mercoledì, aprile 05, 2006

La blogosfera orientata a destra è maggiormente evoluta. Il merito a Tocqueville.

dal Blog: Fermate la pioggia

Sono universalmente due gli aggregatori che prevalgono sui minori per importanza e successo: TocqueVille e Bookcafe.
Si tratta di aggregatori profondamente differenti. Il secondo generalista e privo di alcun controllo di merito sui contenuti, deve il suo successo ad essere un semplice raccoglitore, assolutamente libero, che si limita ad una suddivisione per categorie e temi.
Tocqueville al contrario si basa su un’ipotetica città, controllata all’ingresso nell’uniformità e qualità dei post.

Leggi tutto il post sul Blog originale

domenica, febbraio 26, 2006

I ringraziamenti di Marcello Pera

Da "Per l'occidente forza di Civiltà"

Cari amici,
sento il bisogno di ringraziarvi tutti per aver sottoscritto l'Appello per l'Occidente, e vorrei estendere questo ringraziamento e questo incoraggiamento a quanti vorranno farlo nelle prossime ore e nei prossimi giorni.
Sono rimasto impressionato dal numero di adesioni che, in pochissime ore, si sono registrate sul nostro sito. Si tratta di una straordinaria dimostrazione di interesse e di attenzione per questa battaglia civile e culturale per il rilancio della nostra civiltà che già può contare su una grande e qualificata schiera di sostenitori.
Scorro i vostri nomi, leggo i vostri messaggi, visito i vostri siti web, i vostri blog e mi rendo conto che c'è uno straordinario patrimonio di energia e passione cui possiamo attingere per portare avanti la nostra sfida e di cui ancora non si sospettava l'esistenza.
Non è solo il numero di firmatari, crescente di ora in ora, a sorprendermi positivamente. Mi conforta vedere che questo appello supera gli steccati di partito, attraversa le generazioni e le divisioni sociali. Vuol dire che siamo riusciti a far capire che il nostro non era un messaggio per gli "addetti ai lavori" - per politici e giornalisti - e tanto meno un'operazione elettorale.
Noi vogliamo riunire tutti quelli che hanno a cuore il futuro della nostra civiltà e che vogliono salvaguardare le nostre tradizioni e i nostri valori di democrazia e libertà. Abbiamo già fatto un primo passo perché con questo sito internet ci possiamo contare, confrontare ed organizzare. La strada è ancora lunga ma ormai sappiamo di non essere soli e neppure pochi.
24 febbraio 2006
Marcello Pera

sabato, dicembre 10, 2005

Non per infierire (di Camillo)

Da Camillo, 9 dicembre

3) Ma proprio oggi Commentary ha messo online il nuovo saggio di Norman Podhoretz, che NP medesimo mi aveva anticipato due giorni fa a casa sua. Il saggio prende a sberle i più famosi errori di politica estera versus l'Unione Sovietica di Brzezinski, quelli di cui i sapientoni non hanno mai avuto sentore. Eccone un estratto:
"Now I have to admit that I find it a little rich that George W. Bush should be accused of "suicidal statecraft" by, of all people, the man who in the late 1970's helped shape a foreign policy that emboldened the Iranians to seize and hold American hostages while his boss in the Oval Office stood impotently by for over a year before finally authorizing a rescue operation so inept that it only compounded our national humiliation. And where was Brzezinski—famed at the time for his anti-Communism—when the President he served congratulated us on having overcome our "inordinate fear of Communism"? Where was Brzezinski—known far and wide for his hard-line determination to resist Soviet expansionism—when Cyrus Vance, the then Secretary of State, declared that the Soviet Union and the United States had "similar dreams and aspirations," and when Carter himself complacently informed us that containment was no longer necessary? And how was it that, despite daily meetings with Brzezinski, Carter remained so blind to the nature of the Soviet regime that the invasion of Afghanistan, as he himself would admit, taught him more in a week about the nature of that regime than he had managed to learn in an entire lifetime? Had the cat gotten Brzezinski's tongue in the three years leading up to that invasion—the same tongue he now wags with such confidence at George W. Bush?".
2) Per i duri di testa ecco "l'oscuro" articolo di Brzezinski del 1981 pubblicato "dall'oscuro" New York Times che, secondo i sapientoni, non parlava di politica forte e muscolare e di errori di strategia di Reagan verso l'Unione Sovietica i quali, secondo Brzezinski, avrebbero portato l'America al disastro.

1) Il sapientone realista. Nella città dei secondini c'è un sapientone, o un doppio sapientone, che non riesce a dimostrare che 2 più 2 fa 4 senza prima scaricare la sua piccola enciclopedia dei Quindici sui suoi lettori. Ottimo, se solo si fermasse a questo. Solo che esagera e crede di aver preso in castagna Camillo che qualche giorno fa aveva scritto che se fosse dipeso da Brzezinski, l'ideologia totalitaria sovietica oggi sarebbe viva e vegeta. Il sapientone, o doppio sapientone, giudica Camillo ignorante delle battaglie antisovietiche del Kissinger di sinistra. Il problema è che l'ignorante è il sapientone, o doppio sapientone. Ovvero: tutti sanno che Brz era un anticomunista indefesso (è come svelare che Platini giocava nella Juve), pochi si ricordano però che quando Reagan decise di vincere la guerra fredda dopo i tentennamenti di Carter e Brz, lo stesso Brz spiegò - esattamente come fa adesso - che quella politica "idealista e muscolare" contro Mosca avrebbe portato al fallimento di Washington. Leggetevi il suo op-ed del 1981 sul New York Times dal titolo: "What's Wrong With Reagan's Foreign Policy?", poi riprendete a leggere i Quindici:
"If present trends continue, American foreign policy is likely to be in a state of general crisis by the spring of 1982. What makes matters potentially even worse is that this could coincide with a serious economic downturn, causing the global position of the United States to be placed in jeopardy. There is urgent need for President Reagan to take serious stock of the unfolding situation, so that the needed responses, both substantive and procedural, can be generated".

giovedì, dicembre 01, 2005

Idioti illiberali (di Camillo)

Da Camillo

Il bello è che continuano. E sono molto peggio di quanto immaginassi e pensassi quando ho scritto il primo breve post. Ne sparano di ogni. E non centrano mai il bersaglio. Sostengono che io abbia scritto quel post perché sono amico di famiglia dei Sofri. E' vero, sono amico di famiglia dei Sofri: embé? Mi accusano addirittura di fiancheggiare le opposte e uguali idiozie che i loro zii di Lotta Continua dicevano trent'anni fa (ripeto: a mmia?!?). Oppure c'è quel genio, o quel doppio genio, che crede io voglia Sofri libero perché vecchio e malato (e tra l'altro non si rende conto a volere fuori dal carcere un condannato vecchio e malato non sono io, ma il codice penale), dimenticandosi poi che scrissi io l'inutile appello "tecnico" dei bloggers per la grazia a Sofri. Dimenticandosi che in Italia la pena non è retributiva (al contrario dell'America), ma finalizzata alla riabilitazione e al reintegro nella società. Circostanza che da sola, per le modalità e la tempistica con cui la condanna è stata comminata, chiuderebbe il caso.
Io ho scritto una cosa chiara e semplice, che non entra nel merito della vicenda, su chi ha ucciso Calabresi, sulle cazzate che faceva Lotta Continua o diceva e scriveva Sofri o sul Sessantotto. Io ho scritto, e lo ripeto, che in un paese normale e civile quel processo non sarebbe stato in piedi. In un paese normale e civile, dopo un'assoluzione non si sarebbe potuto più condannare. In un paese normale e civile, la parola di un pentito contro un altro non sarebbe valsa come prova. In un paese normale e civile, le sentenze di assoluzione non sarebbero state motivate in modo "suicida" per essere cassate dalla Cassazione. In un paese normale e civile, ci si batterebbe per riaffermare il principio che la responsabilità penale è solo personale. E che non si può essere condannati, salvo che per il reato di associazione, per responsabilità politica. Vale per Sofri, vale per lo storico negazionista Irving e vale pure per Craxi ogni qual volta è stato accusato di "non potere non sapere". Questi sono i principi base di uno stato di diritto liberale. Di conseguenza è un fascistello chi se ne fotte e li piega perché magari Sofri è antipatico o perché 40 anni fa diceva cose non condivisibili e stupide. Chi lo vuole comunque in galera nonostante la recente malattia e chi scrive le cretinate e le falsità che si sono lette in giro in queste ore, è un idiota puro e semplice. E, probabilmente, anche un aderente di Tocqueville, l'ex città dei liberi oggi la città dei secondini.
PS
Le stesse cose avrei potuto scrivere, e probabilmente qualche volta l'ho fatto, sui frequentatori dell'orrido sito (non Tocqueville) quando invece di Sofri si discute delle garanzie violate di qualcuno dell'altra parte. Ai frequentatri dell'orrido sito e agli abitanti di Tocqueville, ovvio: non tutti, scatta il riflesso condizionato in base alla propria appartenenza. Sono ridicoli entrambi.
1 dicembre

mercoledì, novembre 30, 2005

Tocqueville illiberale

Da Camillo (Christian Rocca)

Altre idiozie si sono aggiunte alle prime, e ancora più gravi. Idiozie e banalità che peraltro non entrano nel merito di ciò che ho scritto, ma parlano d'altro. Avrei voluto ampliare il mio breve post di ieri, ma meglio di quanto potessi fare io ha fatto il sempre più bravo Jim Momo. La grazia non c'entra con le stupidaggini che si sono lette su Sofri chez Tocqueville. E neanche la colpevolezza, l'età, la responsabilità di Sofri. Nemmeno la condanna passata in giudicato o la gigantesca quantità di stronzate totalitarie che i lottacontinuisti dicevano illo tempore. C'entra che le motivazioni, le parole e le cose che si sono lette su Tocqueville non stanno in piedi, in alcuni casi sono false, campate in aria e sono tipiche di fascistelli brufolosi a cui si è rotta la Playstation.
Certo se il contradditorio fosse con Andrea Mancia di The Right Nation, mai avrei scritto di idiozie o illiberalismo. Quella si chiama differenza di opinioni. In un PS, Andrea scrive che "Nell'America che ci piace tanto, Sofri non sarebbe mai stato condannato. Ma non sarebbe mai neppure passato per martire". Ma a parte il fatto che Sofri è martire solo per pochi italiani, infatti né il centrosinistra né il Polo l'hanno graziato, è comunque vero: Sofri in America non sarebbe stato condannato, e non sarebbe passato per martire. Il punto che sfugge ad Andrea è che da noi è "passato per martire" proprio perché è stato condannato.
30 novembre

martedì, novembre 29, 2005

Idiozie su Tocqueville

di Christian Rocca. La malattia di Adriano Sofri ha scatenato alcuni bloggers di Tocqueville a scrivere idiozie imperdonabili indegne di un'aggregazione sedicente liberale. Non sto dicendo che chi è contrario alla grazia a Sofri è illiberale. Sto dicendo che è illiberale chi continua a volere in galera un signore di 60 anni (anche prima della malattia) condannato sedici anni dopo i fatti sulla base di un'unica testimonianza di un pentito e con una serie rocambolesca di condanne seguite da assoluzioni seguite da condanne e terminate in una detenzione che dura da sette anni. L'America che tanto piace ai tocquevillisti avrebbe risolto il caso alla prima assoluzione, ché con un sentenza tale non si sarebbe mai più potuto condannare "al di là del ragionevole dubbio".

29 novembre

Christian Rocca - CAMILLO

venerdì, novembre 04, 2005

3/11: due cittadini di TocqueVille si dissociano

Come promesso, pubblichiamo due lettere spedite alla redazione di TocqueVille scritte da cittadini che si dissociano dall'adesione alla fiaccolata per Israele del 3 novembre a Roma.

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Il mio giudizio a proposito della manifestazione pro Israele è negativo.Non perchè la manifestazione in sè sia sbagliata, ma per il significato politicoche esso porta. In politica a volte è meglio nascondere le sue ambizioniper usare il linguaggio diplomatico, nel senso che bisogna fare concessioni.Le parole del presidente Iraniano vanno senza dubbio condannate, con fermezza.E tutti i paesi del mondo lo hanno capito. Tuttavia penso che la manifestazionenon sia la risposta più adeguata per diversi motivi:Una manifestazione per il diritto di "Israele ad esistere" rischia di raffreddareenormemente i rapporti tra Italia e Iran, e magari di creare qualche tensioneche avremmo potuto evitare. Nell'insieme il rischio è che l'Iran venga isolatadal resto del mondo, e una bestia inferocita in gabbia è molto più pericolosa."Il diritto d'israele ad esistere". E' giustissimo. Ma anche lo Stato palestineseha diritto ad esistere, invece Israele esiste già da 50 anni mentre la Palestinae i Palestinesi stanno ancora aspettando. Se dobbiamo fare una manifestazioneper l'esistenza di uno Stato, non posiamo sorvolare sulla Palestina, veravittima di quella situazione (i "boia" essendo non gli Israeliani, ma i vincitoridella seconda guerra mondiale in particolare l'Inghilterra, insieme ai paesiarabi che hanno approfittato della situazione per sbarazzarsi dei Palestinesi).Per concludere dico che una manifestazione a favore dello Stato di Israelee della Palestina, oppure una manifestazione contro le parole del presidentesarebbe stata molto più equilibrata nel suo messaggio, e avrebbe prodottominori conseguenze sul rapporto Italia Iran.

UcCaBaRuCcA
http://piazzagrande.blog.tiscali.it/

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IO CITTADINO DI TOCQUEVILLE STAVOLTA MI DISSOCIO

Mi sono sempre astenuto dal dibattito riguardante la questione israelo-palestinese ma stavolta dopo gli ultimi sviluppi riguardanti le dichiarazione del presidente iraniano non riesco a trattenermi dal dire la mia.
Userò il linguaggio più chiaro e franco possibile, privo di falsa diplomazia per dire quello che penso al riguardo.
Visto che voto il centro- destra, devo chiarire la mia posizione sulla questione che purtroppo non mi vede in questo caso in sintonia né con i Tocquevilliani né con la linea della Casa delle libertà a riguardo.
Ho impiegato un po’ di tempo a scrivere proprio per chiarire bene ciò che penso della questione Israelo-palestinese quindi spero non sia liquidato come vaneggiamento neofascista solo perché stavolta non mi trovo d’accordo.
Mi spiace dire che la destra italiana e gli USA, politici democratici o repubblicani che siano, sbagliano nell’essere filoisraeliani sempre e comunque.
Israele c'è ed è un fatto, non dico che bisogna cancellarla dal mondo. Ma il problema è alla fonte, COME SIA NATO Israele. Perchè avvallare la creazione di uno stato israeliano nella polveriera mediorientale dopo una millenaria sedimentazione di etnie arabe che ormai di fatto avevano IUS FINIUM sul territorio oggi invocato dagli israeliani è roba quantomeno rischiosa e sulla quale si sarebbe dovuto pensare un milione di volte prima di farla. Questo non significa giustificare i conseguenti e prevedibili atti terroristi di ALCUNI dei palestinesi coinvolti in questa decisione storica. Significa solo valutare il grado pericolosità della decisione ( la creazioni di uno stato israeliano nella polveriera mediorientale) e chiedersi se non fosse stato meglio non avvallarla. Io la frase del presidente iraniano non la condivido ma mi ha fatto pensare ”però se lo stato di Israele non ci fosse stato nel dopoguerra, sarebbe stato meglio per tutti…” E la politica terrorista dell’Iran e del suo presidente sarei ben contento che venga estirpata, con una guerra più che giustificata se dovessero rappresentare un pericolo per l’occidente. Però anche qui mi chiedo, e mi sono già chiesto. È giusto dire che questi dittatori vengano tolti e dire che è per il bene delle popolazioni locali? No affatto, è per tutelare i valori democratici e di civiltà dell’OCCIDENTE dal terrorismo non certo per un’opera benefica verso quelle popolazioni. Che, in maggioranza analfabete, non concepiscono nemmeno il concetto di DEMOCRAZIA e sono direi ben contente di farsi governare da questi soggetti come Ahmadinejad e Saddam. Ala fine il governante rispecchia quasi sempre il popolo. Quindi per me questi stati e queste popolazioni storicamente soggette, a califfati, sultanati … , altro che esportare la democrazia ( che per loro teocratici non ha alcun significato)!, le lascerei pure al loro destino se non fossero le basi del terrorismo antioccidentale. L’occidente agli occidentali, e il medioriente ai mediorientali. Compreso Israele. Ha voluto la bicicletta, pedali e non invochi sempre l’aiuto e la tutela degli USA. Che nel fare questo sbagliano. Repubblicani o democratici che siano.
Se c'è grave errore politico, storico e diplomatico da parte di USA e forze anglosassoni è stato quello di avvallare la nascita dello stato di Israele e difendere l'operato di questo e degli israeliani sempre e comunque. Il destino degli ebrei racchiuso nella frase “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” per uno per il quale il Vangelo non ha significato può non voler dire nulla, per un credente invece certamente si. È il destino, o meglio punizione divina , che gli ebrei e lo stato d’Israele non abbia vita facile e la creazione dello stato Israeliano non è che la continuazione di questa sofferenza. Potrei dire che lo stato di Israele e con esso i suoi travagli erano cosa DESTINAta ad essere mentre se non ci fosse mai stato per gli ebrei ci sarebbe stata finalmente un’epoca felice. Ma è nel loro destino questa sofferenza, e quindi la creazione di uno stato nel focolaio arabo.
La pretesa poi che questo stato ARTIFICIALE, AVULSO dal corso della storia potesse avere vita felice era cosa impossibile e arrogante oltre che appunto ANTISTORICO.
E questo non significa essere antisraeliano, cosa ormai di moda da dirsi a chi osa solamente avere una posizione critica verso Israele.
Perché la stessa cosa la direi ad esempio se gli Italiani, eredi dei Romani avessero oggigiorno pretese su ex territori imperiali come la Romania o altro. La cosa non è fattibile perché ANTISTORICA.
Lo stesso era per gli israeliani, oramai storicamente dai tempi della diaspora popolo cosmopolita e sine stato, che dovevano accettare il loro destino.
Allora che si fa se gli indiani d’ America reclamassero un loro stato sul territorio statunitense del quale erano precedenti abitanti? Glielo si concede?
NO! E giustamente, perché la STORIA con la sua inevitabilità e cinicità ne ha sancito la privazione.
Se oggi gli indiani d’America reclamassero un loro stato all’interno dei confini degli USA si griderebbe ovviamente all’ANTISTORICITà della cosa. Semplicemente perché è cosa impossibile da farsi dopo il corso inevitabile degli avvenimenti storici.
Ma si sa gli ebrei sono ben lungi dall’accettare qualcosa che non coincida con le loro aspirazioni, per loro quello che la storia o il destino sancisce non è accettabile…
Quindi eccoci nel 1948 alla creazione dopo 2000 anni di miscugli etnici arabi nella regione, alla creazione dello stato di Israele.
Mi spiace dirlo, ma a me non piace avere un linguaggio falsamente diplomatico tipico del politico:
Israele è uno SCHERZO della storia e si sapeva che avrebbe avuto un’infinita vita travagliata.Il difendere sempre e a priori ogni mossa di Israele e del suo arrogante premier è cosa poco seria e non obbiettiva e ciò che mi lascia ancor più perplesso è che soprattutto a destra e nei blog di destra avviene ciò. Mai una seppur tenue approccio critico verso la politica non certo all’acqua di rose di Israele. Non dico che bisogna criticare aprioristicamente Israele ma possibile che nessuna neppure velata critica mai venga posta da destra.
Possibile che si è passati dall’estremismo antisemita, patrimonio sia dell’estrema destra che dell’estrema sinistra all’estremismo, a destra, dell’ACRITICA totale verso Israele.Bandiere di USA, accostate sempre e necessariamente a quella di Israele…e magari assente quella Italiana. Discorsi pro Israele e mai un appunto alla sua politica non certo solo di contenimento e difensiva sono cosa sospetta e indicativa di un pensiero standardizzato e, mi spiace dirlo specie agli amici di destra, ma sembra a volte da “pecoroni”.
Perché gli israeliani non sono vittime candide e esenti da errori. Io pur filoamericano non condivido la politica smaccatamente filoisraeliana degli USA che difendono sempre uno stato e un popolo che storicamente non porge, e mai si sognerebbe di porgere, l’altra guancia. A Israele giova il ruolo di vittima su cui basa la sua intoccabilità e al quale hanno contribuito i fatti della seconda guerra mondiale. Da allora può fare anche ogni atto criminale, non terrorista, ma gli si trova sempre un alibi o una giustificazione pena essere antisemiti. Io sono semplicemente un filoamericano molto critico verso Israele. Ma che non vuole certo il male di questo stato . Voglio solo che si prenda le sue responsabilità senza cercare la comoda tutela e l’aiuto di altri paesi. Compresa l’Italia . Non mio è piaciuto né quando Berlusconi ha ricevuto sharon né quando Fini è andato in Israele come un cane bastonato. In conclusione disprezzo e non giustifico i terroristi palestinesi, né le politiche e le frasi del presidente iraniano, ma neppure difendo Israele e la sua politica. Non parteggio per Israele né tanto meno per i palestinesi. Guardo il conflitto israelo-palestinese con freddo distacco, sperando che USA e Occidente, quando non è a rischio la loro incolumità, lascino a questi popoli “beduini” i loro panni sporchi.
Sono quasi certo comunque che anche a destra si faccia finta di non sapere o non c’è la coscienza che il filoisraelismo SEMPRE e COMUNQUE è frutto del tenersi buone le migliaia di lobby ebree presenti in USA come in Italia nonché di un complesso di obbedienza degli USA e della destra italiana per farsi perdonare responsabilità nell’eccidio ebreo nel dopoguerra.
Insomma la destra italiana ha più che mai oggi la sindrome dell’ACRICITà verso Israele e gli israeliani per paura di essere tacciati nuovamente di fascismo o peggio antisemitismo.
Da questo punto di vista non può che non piacermi questo aspetto della destra italiana che dimostra di aver poca “personalità”. Insomma la destra italiana quando è giusto non può non astenersi dal criticare Israele.
Anche la manifestazione pro Israele indetta a Roma è una farsa.
Le manifestazioni pro, contro, ecc. di ogni tipo sono piazzate inutili, starnazzamenti di massa in cui l'individuo fondendosi si crede protagonista...per fare magari qualche atto vandalico. Robetta per pacifondai e zecche di sinistra.
E infatti la destra finora coerentemente non è mai ricorsa a manifestazioni inutili. Un presidente islamico, quindi difficilmente filoisraeliano, urla alla cancellazione di Israele e pure Ferrara e a destra, notoriamente restie alle piazzate, riesumano l'espediente tipico dei pacifinti per manifestare pro Israele, neanche fossero tutti israeliani presi direttamente in causa. Ma certo ovviamente hanno toccato la povera perenne vittima Israele, quindi pure la destra e l’ormai irriconoscibile Fini devono scender in piazza in preda alla paura, se non lo facessero, di essere tacciati di fascismo e antisemitismo!
Per quanto mi riguarda ciò che ha detto il presidente iraniano non mi ha scandalizzato perché ha semplicemente espresso a parole ciò che pensa di Israele il 90% del mondo arabo.
Volevo vedere se i deliri del presidente iraniano riguardavano la Costa d'Avorio o il Bangladesh... Nessuna manifestazione e nessun FIni versione cane bastonato ovviamente...
Ormai la moda è: vietato essere antisemita, vietato essere critici verso Israele, BISOGNA ESSERE TUTTI ISRAELIANI.
Temo che se Gesù tornasse e gli ebrei lo uccidessero di nuovo nessuno stavolta difenderebbe il primo, ma tutti troverebbero qualche plausibile giustificazione per ciò che hanno fatto i secondi, per paura di essere accusati di antisemitismo.

Metafisico
http://superuomo.splinder.com

giovedì, ottobre 20, 2005

Perdonali, non sanno di che cosa parlano/6 (da Camillo)

Da Camillo:

Daniele Luttazzi sul suo blog affronta il caso Plame e non ne azzecca una. Vi giuro, leggetelo, nemmeno una, neanche per sbaglio, zero assoluto. Non mi riferisco, ovviamente, alle battute (che a parte l'ultimissima non fanno ridere), né alle valutazioni politiche (fenomnale quella secondo cui Rove avrebbe mandato a tutti gli evangelici il documentario "Faith"), ma mi riferisco ai fatti riportati (su quelli non riportati, ci metto una pietra sopra). Dunque, comincia così:"Due anni fa, l'ambasciatore USA in Africa, Joseph Wilson, criticò l'amministrazione Bush per il falso dossier sulle armi di distruzione di massa". Wilson non era ambasciatore Usa in Africa e non criticò "il dossier sulle armi", ma solo un'informazione sul Niger.Luttazzi: "Memo: la guerra criminale in Irak venne giustificata a un certo punto anche da un falso dossier sulla compravendita di uranio tra Irak e Niger, ideato da un ex-agente del Sismi e fatto arrivare a Panorama ( Mondadori, Berlusconi ) nell'ottobre del 2002".Non è vero. Il falso dossier non c'entra niente con Wilson e il Plamegate. Come scrive correttamente Luttazzi, Panorama ricevette il dossier "nell'ottobre 2002", ma Wilson andò in Niger a verificare i tentativi di compravendita nel febbraio 2002, ovvero otto mesi prima che il dossier fosse consegnato a Panorama e da Panorama all'ambasciata americana. Già, solo questo, ridicolizza il Luttazzi show. Quanto all'ideazione del dossier, sembra sia opera dei servizi francesi. Il Sisde ovviamente non c'entra.Luttazzi: "Rossella... lo consegna lo stesso all'Ambasciata americana a Roma. E la macchina infernale si mette in moto".Appunto. E lo dimostra lo scombinato post di Luttazzi basato su una cronologia che non sta in piedi.Luttazzi: "Dicembre 2002: Bush in America parla del Niger".Non era il dicembre 2002, piuttosto il gennaio 2003. Bush non parla del Niger, ma "di alcuni paesi africani". Bush non si basa sul dossier falso, ma sui rapporti dei servizi britannici - e tra l'altro lo dice - a proposito di tre paesi africani da cui Saddam - parole esatte di Bush - "aveva cercati di comprare grandi quantità di uranio". Quelle famose 16 parole, peraltro, erano corrette stando alle cose che si sapevano allora, ma anche in assoluto. Lo dimostrano tre cose: il rapporto indipendente della Commissione Butler inglese; il rapporto bipartisan del Senato sui fallimenti dell'intelligence e... lo stesso rapporto di Wilson al ritorno dal Niger. Wilson, anche se Luttazzi non lo sa, disse ai suoi capi missione della Cia che il capo del governo del Niger gli aveva confermato che Saddam aveva cercato di comprare l'uranio, ma che non lo comprò. Certo, e se lo avesse comprato, il premier nigerino lo diceva a Wilson... Comunque resta il fatto che la gita di Wilson in Niger conferma esattamente le parole pronunciate da Bush nel discorso dello Stato dell'Unione, anche se Bush le ha attribuite "ai servizi britannici".Luttazzi: "Luglio 2003: il LA Times rivela il retroscena. Sul NY Times, Wilson afferma che non c'è alcuna prova dello scambio di uranio Iraq-Niger e attacca Bush".Il primo a svelare la cosa è il New York Times, non il LAT, con un articolo di Nicholas Kristof, imbeccato da Wilson. Quanto a Bush, ripeto, non ha mai detto che ci sia stato scambio, ha detto che Saddam aveva tentato di comprare. Luttazzi: "Marzo 2004: Powell dice che la CIA aveva messo in guardia Bush sul documento fasullo".Di nuovo: il documento fasullo non c'entra.Luttazzi: "Luglio 2004: la Casa Bianca riconosce l'errore e lo imputa alla CIA".Non è vero. Imputa alla Cia di aver garantito che in Iraq c'erano le armi. Ricordate la slam dunk di Tenet?Luttazzi: "A questo punto, una giornalista del NY Times, Judith Miller, rivela che la moglie di Wilson, Valerie Plame, è una spia della Cia".Come sanno anche i bambini, Judith Miller non ha mai scritto una riga sul caso. Se Luttazzi l'ha letto su Repubblica (prima che se ne occupasse egregiamente Alberto Flores d'Arcais) non fa comunque giurisprudenza.A questo punto, come direbbe Luttazzi, mi fermo perché un po' mi fa pena. (Le fonti le trovate nei post di Camillo e negli articoli degli ultimi mesi).

martedì, ottobre 18, 2005

Perdonali, non sanno di che cosa parlano

Da Camillo

Oggi sul Corriere c'è un fenomenale articolo di Gianna Fregonara che racconta l'episodio grazie al quale Arturo Parisi "scoprì" le primarie americane. Seguite per bene: "Il successo di domenica non è stato improvvisato. Ha una storia lunga tredici anni e un protagonista assoluto: Arturo Parisi". Bene.Il politologo "nel luglio 1992 si presentò a New York per assistere alle Primarie dei democratici". Eh? A luglio del 1992 le primarie democratiche erano già finite da mesi: dove diavolo andò il politologo? Continua il Corriere: "Parisi arrivò al Madison Square Garden per studiare il caso, ma nell'evento più blindato della politica americana, rimase senza badge e dunque fu gentilmente respinto all'ingresso". A parte la scena da Totò in trasferta all'estero, c'è un problema: quelle non erano le Primarie, che peraltro non sono affatto blindate, ma era la Convention nazionale del partito che si tiene a primarie concluse da tempo e a giochi fatti. Eppure continua il Corriere: "Parisi insistette e avventurosamente si procurò un biglietto di ingresso: si intufolò tra le delegazioni, ascoltò i discorsi, raccolse materiale, calcolò i tempi e i voti". Ma di che parlano? Da quando c'è un biglietto d'ingresso per le primarie. A che serve? E le delegazioni? Delegazioni di che? Era la Convention, appunto. Ancora: "E domenica sera ha potuto dire senza mentire che le primarie all'italiana quanto a partecipazione sono andate anche meglio di quelle americane". Be', se è per questo, quanto a partecipazione, anche le elezioni vere in Italia vanno meglio che in America. Ma la frase non ha alcun senso, soprattutto per un politologo che ha scoperto le primarie seppure solo tredici anni fa (e nel luogo sbagliato): c'è che in America le primarie non si tengono nello stesso giorno, ma nel corso di parecchie settimane o mesi. Negli Stati più grandi spesso si arriva a votare con i candidati già ritiratisi a causa delle sconfitte precedenti, quindi è abbastanza inutile votare (d'accordo, ammetto, è esattamente come nelle finte primarie dell'Ulivo). Straordinaria anche la notizia secondo cui, rosi dall'invidia, ora "tedeschi, francesi, spagnoli e, azzardano, persino i cinesi" arriveranno in Italia a studiare "il fenomeno primarie". I cinesi, sì i cinesi di Cina, dove la dittatura del partito unico comunista sarà rimasta molto male a scoprire che nel mondo c'è qualcuno più abile di loro a organizzare elezioni ininfluenti e con un solo concorrente.

domenica, settembre 18, 2005

La stampa liberal (di Camillo)

Pur di andare contro la democrazia in Afghanistan (avete presente quel paese che l'11 settembre era dei talebani e di Bin Laden e ora è sovrano e vota ogni due minuti?) i giornali come il Financial Times e il Washington Post fanno dire a Emma Bonino cose che non ha mai detto e si inventano che lei "was one of those who condemned the U.S. intervention against the Taliban, which she said would "all but doom" millions of Afghans "to death".Capito come funziona? Qui si tratta di una cosa italiana e quindi ci è più facile capire che è una balla. Quando si tratta di cose americane, questi scrivono le stesse baggianate e poi Zuccopycat e Caretto "prendono spunto, riportano sui giornali italiani e infine gli allocchi ci cascano. Come il mio collega Stefano Di Michele, il quale ieri sul Foglio ironizzava su chi ha scritto che Bush non ha colpa dei disastri di Katrina (cioè io) poco prima che Bush ammettesse le sue responsabilità. Solo che è un falso, non s'è preso la responsabilità dei disastri, come ho scritto qualche giorno fa e come naturalmente ha notato il New York Times (che sarà di parte ma è un giornale più furbo e onesto dei nostri).

da Camillo

giovedì, settembre 15, 2005

On proporzionale (di Camillo)

Di: Camillo

Camillo è iper maggioritario, considera l'attuale legge una iattura e crede che l'unica riforma possibile sia l'abolizione della quota proporzionale e il ritocco della Costituzione in funzione maggioritaria. Detto questo, la mossa del Cav. mi pare geniale. Non sono d'accordo, ma è intelligente (non per uno statista, ma per il Cav). La critica secondo cui la legge elettorale non va fatta prima delle elezioni non sta in piedi (è ovvio che va fatta prima; dopo non ha senso anche perché sarebbe necessario rivotare, tanto che il cambiamento della legge elettorale costituisce per la dottrina uno dei tre motivi di scioglimento delle Camera). Fantastico assistere all'imbarazzo dei maggioritari nel Polo e dei proporzionalisti dell'Ulivo. Il paradosso è che con l'attuale semi-maggioritario (un sistema che favorisce la governabilità rispetto alla rappresentanza) abbiamo seimila partitini, mentre col possibile nuovo proporzionale (un sistema che garantisce la rappresentanza) non ci sarebbero più i pecorari scani, i mastella, i di pietro, i comunisti unitari, i comunisti italiani, i socialisti, forse neanche la lega né l'orribile Udc.E di per sé il Paese non ne soffrirebbe.

domenica, settembre 04, 2005

Non avrai altro giornalista al di fuori di me: il caso Grillo

Di: Carlo Felice Dalla Pasqua

Ospite da: Se una notte d'inverno un giornalista


Come ho già scritto in un altro blog, Beppe Grillo è tutto fuorché stupido o ingenuo, ma comincia a usare sempre più toni apocalittici che meglio si adattano a qualche predicatore degli Stati Uniti di George W. Bush piuttosto che a una persona intelligente come lui. A poco a poco sta scivolando nell'autocelebrazione e nell'autocompiacimento. Il successo del suo blog è indiscutibile ed ecco che Grillo è pronto a sottolinearlo, paragonandolo all'Unità (ancora un po' sopra) e al Giornale (che sta già sotto). Elogiarsi e denigrare gli altri è poco elegante, ma passi, non abbiamo tutti lo stesso gusto. Poi lo scivolone: "Sono curioso di capire, quando saremo tutti on line, che lavoro andranno a fare questi giornalisti". Lo stesso di adesso, caro Grillo: faranno i giornalisti, bene o male a seconda delle persone e dei momenti, come qualche alto e qualche basso può averlo anche lei.
A Grillo non è andato giù che in pochi sui giornali abbiano commentato la sua pagina contro Fazio. Stia tranquillo: può essere stato un errore di valutazione (è successo anche in altre occasioni), tuttavia tenga conto che se i giornali dovessero dedicare servizi a ogni pagina pubblicitaria un po' originale avrebbero bisogno di una sezione apposita. Ma la confusione fra numero di contatti e credibilità, in modo tale da stabilire una relazione di proporzionalità diretta fra gli uni e l'altra, è una cosa che non mi aspettavo da chi si occupa anche di comunicazione e di internet: se fosse così, portando il paragone alle estreme conseguenze, alcuni dei siti più credibili dovrebbero essere siti di pornografia.
Non si sa poi da dove venga a Grillo (che per ora mette on-line un prodotto ben diverso da un quotidiano di informazione o di controinformazione, limitando la sua scelta a uno o due argomenti al giorno che possano colpire l'immaginario collettivo), non si sa da dove gli venga, dicevo, la convinzione che i padroni del vapore possono condizionare i mass-media "normali" ma non la Rete, dove ciò che conterebbe è solo la credibilità. Forse Grillo dimentica l'esempio cinese, per fare soltanto un esempio, dove Microsoft, Google e Yahoo! si sono in qualche modo piegati alla volontà del Governo di laggù pur di entrare in quel mercato.
La democrazia diretta, last but not the least. Grillo sostiene che su internet - e sul suo blog - sta nascendo la democrazia diretta e che la pagina pubblicata su Repubblica ne è un esempio. Ovviamente è un falso: la pagina pubblicata su Repubblica, che è stata preparata da Grillo e finanziata anche dai lettori del suo blog, non è un esempio di democrazia diretta. Per due motivi: innanzitutto i lettori hanno finanziato un prodotto già pronto e confezionato, così come alle elezioni votano il candidato e il programma scelto dai partiti, senza poter sostituire il candidato con un altro o poter modificare il programma; poi perché la pagina era firmata www.beppegrillo.it e non con i nomi dei lettori: nella pagina c'era già una mediazione - ossia quella del blog - fra coloro che hanno finanziato e firmato il messaggio e i destinatari di quel messaggio, ossia Fazio e il Governo.
Forse è meglio che qualcuno glielo dica: il primo dei dieci comandamenti del cristianesimo non è ancora stato modificato e non è ancora diventato: "Non avrai altro giornalista al di fuori di me". Detto questo, vado a leggermi il suo blog: mantenendo il necessario occhio critico è davvero un buon luogo nel quale sostare per un po'.

domenica, luglio 17, 2005

United Children

Di Lexi
Ospite da Qui


Forse non si è capito, ma quando al Manifesto scrivono che i soldati americani usano i bambini iracheni come scudi umani per ripararsi dagli assalti degli eroici kamikaze resistenti, dal loro punto di vista non si fa altro che consolidare la diffusa teoria in base alla quale non c'è molta differenza tra l'America e i tagliagole o tra l'America e gli stati-canaglia.

Così, per i Manifestanti, i piccoli iracheni "usati come scudi dai marines" fanno il paio con i neonati bruciati vivi nella Corea del Nord. Che poi, lì, mica li bruciano tutti. Solo quelli delle donne ospitate nei centri di rieducazione. E, certo, nemmeno tutti i giorni. A volte, quando si arriva in tempo, le si fa abortire prima, magari con l'aiuto di farmaci iniettati. Altrimenti bisogna aspettare il parto. Dopodiché si prende il neonato, lo si avvolge amorevolmente in una calda coperta, lo si porta al centro del campo o in cima ad una collina e gli si dà fuoco.

(Continua a Leggere )

TOCQUEVILLE La scoperta della libertà (di Nicola Matteucci)

Cielo e mare: i trentotto giorni di navigazione, che dovevano portare nel 1831 il giovane ventiseienne Alexis de Tocqueville dalle coste della Francia a quelle dell'America del Nord, sembrano dettargli, costante, un solo pensiero: «la solitudine in mezzo all'Oceano ha qualcosa di sublime e di vero», «la monotonia del mare aperto è più imponente che noiosa».Queste parole ricorrono nella sua corrispondenza di viaggio: sembra quasi che quella «solitudine profonda», quel «silenzio completo» fossero riusciti, per un momento, a placare le sue inquietudini, a distendere quella tempesta di passioni, nelle quali si mescolava l'orgoglio che agitava il suo animo per aver tentato di uscire, con una scelta non entusiasta, da quel «circolo vizioso» in cui si era attardata la vita politica francese alla vigilia del 1830. Quella solitudine profonda, quel silenzio completo potevano allentare la tensione del suo animo e ridimensionare il suo problema, un problema che aveva vissuto come se fosse il solo al mondo.
Il mare, il silenzio forse potevano ridimensionare i suoi problemi; forse potevano consentirgli di guardare più a fondo in se stesso, e di trovare così la propria coerenza in una nuova intuizione politica.Si capisce bene come la libertà, per lui, fosse un istinto incomprimibile. Ma aveva orrore per le rivoluzioni violente. Nel 1830 la vocazione politica non aveva ancora posto salde radici nel suo animo. Certo: nel 1826-1827, con il diario di viaggio in Sicilia, aveva mostrato sorprendenti capacità sia nell'analizzare un sistema sociale, sia nel penetrare la psicologia delle classi dirigenti. Ed ora partiva con l'incarico di studiare il sistema penitenziario americano; ma questa era la scusa ufficiale. Quella partenza «ufficiale» assomigliava assai più a una fuga dalla famiglia, dagli amici, dal lavoro, dalla Francia, insomma dalla politica. Il viaggio americano, infatti, poteva anche venire incontro alla sua segreta passione per «l'agitata esistenza del viaggiatore», o al suo «antico gusto per la vita errante ed agitata».

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Scriveva Tocqueville: «Tutti gli Americani volevano farci percorrere le loro più belle strade e farci visitare i loro più vecchi insediamenti. Noi cerchiamo soltanto la wilderness (la vita selvaggia) e gli Indiani, ma non abbiamo il coraggio di confessarlo». Era andato in America avendo letto, come lui stesso confessa, le opere di Chateaubriand e di James Cooper, il popolare scrittore che aveva narrato le gesta dell'«ultimo» dei Moicani. Durante il viaggio Tocqueville viene invece lentamente scoprendo un nuovo ed inaspettato modo di vita, proprio di una umanità sempre inquieta e insoddisfatta, «divorata dal desiderio di far fortuna», che ama l'instabilità e «vede nel cambiamento la condizione naturale dell'uomo». Queste osservazioni e questi spunti, presi durante il viaggio, verranno poi così sinteticamente riespressi nella Démocratie en Amérique. «In Europa, siamo abituati a considerare come un grande pericolo sociale l'inquietudine dello spirito, il desiderio smodato delle ricchezze, l'amore estremo per l'indipendenza. Sono precisamente queste le cose che garantiscono alle repubbliche americane un lungo e pacifico avvenire». Tocqueville veniva messo bruscamente a contatto con un'altra America, radicalmente diversa da quelle interpretazioni che, con toni a volte entusiastici ed altre elegiaci, si erano venute incrociando nella cultura europea dalla fine del Settecento. Gli indiani, cari ai Cooper e agli Chateaubriand, a coloro che mantenevano ancora vivo il cinquecentesco mito del buon selvaggio, diventavano solo una delle tre razze del Continente, inevitabilmente destinata all'estinzione.Tocqueville vede già netto il predominio dello yankee, rozzo, aggressivo, «volgare», che giudica tutto avendo, come unico metro, il denaro: tutte cose che non potevano non irritare l'educato e sensibile Tocqueville. Dietro la prepotenza di quest'uomo c'era però una vitalità, un desiderio di migliorare le proprie sorti senza attendere la carità pubblica, un profondo istinto democratico nel volere che ogni individuo fosse giudice del proprio interesse e nel non riconoscere meriti se non a chi se li fosse personalmente guadagnati. Tocqueville veniva lentamente scoprendo come dietro a quella società, a prima vista confusa e disordinata, così carica di violenza, ci fosse una reale presa di coscienza e un'assunzione di responsabilità, da parte dei singoli individui, del proprio destino, e quindi - al limite - una scelta di libertà. Scoprì, insomma, una società in prepotente sviluppo, in continuo movimento, con tutti i contrasti e i conflitti che da ciò derivano: una società basata sulla lotta che non consentiva la pace o l'evasione.Tocqueville deve tutto - e cioè la soluzione del suo personale problema politico - a questa scoperta di un'America, che poeti e viaggiatori non avevano descritto.

***

Come politologo egli rifiuta sia l'ottica illuministica, che quella romantica. A risvegliare l'istinto politico fu soprattutto la scoperta della radicale diversità fra gli Stati Uniti e la Francia: nella nazione che stava visitando - scrive durante il viaggio - si verificano gli «eccessi» opposti a quelli che si danno in Francia, dove il governo si interessa di tutto e penetra ovunque. Il governo in America era impotente e passivo; ma la democrazia era la «vita» contro «la regolarità e l'ordine metodico». Quella «vita» era rappresentata dallo spirito della frontiera, dallo spirito industriale e commerciale. In sintesi, i punti che colpirono Tocqueville durante il suo viaggio, sono: innanzi tutto l'alleanza fra lo spirito di religione e lo spirito di libertà, possibile proprio perché la religione è radicalmente separata dal potere temporale. In secondo luogo l'unione fra un'estrema democrazia - «essa è dappertutto, nelle strade come nel Congresso» - e l'enorme prestigio della magistratura: essa è «il primo potere dello Stato». Poi la struttura estremamente articolata dell'organizzazione politica.Tocqueville veniva capovolgendo la tradizionale immagine della democrazia americana di origine illuministica. Secondo questo cliché la Repubblica statunitense era una perfetta democrazia di liberi contadini proprietari, che avevano limitato al massimo le funzioni del governo. Questa immagine oleografica della democrazia americana era resa possibile dal mito della società rurale intrinsecamente buona e sana, che veniva contrapposta ai costumi corrotti delle grandi città.
Insomma, rispetto alle mitologie settecentesche, scopre non l'America deistica, virtuosa e filantropica, ma quella protestante delle sette; non la pacifica società agraria, ma l'operosa e dinamica realtà della vita mercantile e della frontiera; non l'America virtuosa, il popolo fortunato, ma la realtà dinamica degli interessi, degli egoismi, delle passioni che sono propri di una multiforme società.Il conflitto fra queste due opposte disposizioni spirituali, quella verso l'evasione romantica e quella verso la scoperta di una nuova America, durò a lungo nell'animo di Tocqueville: ancora nel 1832-1833, dopo il suo ritorno in Francia, passa le giornate in «letargo», sempre inquieto e scontento di se stesso. Confessa agli amici il suo spleen e intanto fa progetti per una nuova evasione, e questa volta duratura: vuole andare, come colono, in Algeria, nelle terre recentemente conquistate dalla Francia. Ma alla fine del 1833, l'istinto politico prende improvvisamente il sopravvento. In America aveva trovato qualcosa di nuovo e di insospettato, che gli consentiva proprio di risolvere il «suo» problema politico e morale: al di fuori delle deformanti ideologie allora dominanti, aveva messo a fuoco il vero problema del suo - e del nostro - tempo: la democrazia nella libertà, o meglio, la libertà nelle future società democratiche.

di Nicola Matteucci
da il Giornale, 17 luglio 2005

sabato, luglio 16, 2005

L'Islam in America (posted by Lexi)

Di: Lexi
Ospite da ... casa Sua come sempre :)

Il fatto che la popolazione americana sia un coacervo straordinario di razze, che ha dato vita ad un multiculturalismo altrettanto stimolante, ha determinato anche un pluralismo di tipo religioso, da sempre rispettato e tutelato senza distinzione alcuna. E' una convivenza nella quale trovano posto, tra le altre, le svariate confessioni Battiste, gli Episcopali, gli Ortodossi, i Metodisti, i Mormoni, i Luterani, i Pentecostali, i Cattolici, gli Ebrei, i Buddisti, gli Induisti, i Musulmani (cinque milioni di persone circa).

Le scelte religiose di ogni individuo sono talmente rispettate che se io volessi comprarmi uno spazio televisivo su qualche rete locale di Los Angeles, mettiamo su KCAL Channel 9, e mi presentassi con una tunica dorata a chiedere donazioni per una qualche Chiesa di mia fondazione (non so, tipo: Chiesa del Risveglio Permanente), avrei la stessa libertà e la stessa tutela giuridica del più importante esponente cristiano. Così come, se mi convertissi all'islamismo, potrei liberamente frequentare le lezioni al college indossando il velo. Una cosa, cioé, che non si può più fare nemmeno in Turchia.

Questo pluralismo religioso è alla radice di quella pianta vitale che si chiama Libertà. Ed è anche la ragione per cui chi è Americano sente un legame viscerale ed indissolubile con il proprio paese. Poiché ogni cittadino è legato da quelli che sono i valori civili, morali e religiosi garantiti dalla Costituzione, formando così un'entità compatta che si trasforma nella tipologia dell'Uomo Americano.

Detto questo, bisogna però dire che da questa compattezza l'elemento religioso che, negli anni, ha faticato (e spesso non ha voluto) amalgamarsi con l'insieme è l'Islamismo.

Nei giorni in cui gli Stati Uniti vivevano l'assassinio di J.F.Kennedy come una sorta di psicodramma collettivo, l'allora portavoce della Nazione Islamica, Malcolm X, scandalizzò l'opinione pubblica, dichiarandosi felice della morte del presidente poiché si trattava di un caso in cui "chickens are coming home to roost". In poche parole: aveva avuto quel che si meritava.

Malcolm X era talmente intransigente e dispotico da non tollerare che si potesse combattere il razzismo con mezzi diversi dai suoi. E la sua idea di emancipazione dei neri, attraverso l'uso dell'Islam, portava alla violenza, all'odio, allo scontro. Egli potè tuttavia esprimere le sue idee senza essere per queste imprigionato.

In anni più recenti spuntò la figura di Louis Farrakhan, leader dei Musulmani Neri d'America. A suo tempo ci fu chi lo indicò come il mandante dell'assassinio di Malcolm X (la cui figlia fu arrestata per aver progettato l'omicidio di Farrakhan), ma prove a suo carico non furono mai trovate. Dichiaratamente razzista, Farrakhan ha avuto, soprattutto nei confronti della comunità ebraica, delle uscite a dir poco agghiaccianti, tipo: "Gli Ebrei hanno ricevuto una missione dal diavolo", oppure: "Hitler was a very great man". Senza dimenticare che egli è tra coloro che sostengono che l'Olocausto non sia altro che un'invenzione della stampa sionista. Anche in questo caso, nonostante la sgradevolezza del personaggio, le sue idee hanno potuto circolare liberamente.

In questo senso sta creando scalpore (anche se non più di tanto, poiché i grandi giornali non ne parlano) la condanna all'ergastolo, comminata da un giudice di Alexandria, in Virginia, dell'imam Alì al-Timimi (iracheno d'origine ma americano di nascita). Quello che fa riflettere sul mutamento di clima negli Stati Uniti è il fatto che Timimi è stato condannato all'ergastolo non per aver materialmente compiuto atti terroristici ma per le opinioni espresse.

La condanna si basa sul fatto che, cinque giorni dopo l'attacco alle Twin Towers, Timimi invitò i propri seguaci ad abbandonare il paese e ad imbracciare le armi per conto del regime talebano in Afghanistan contro gli Stati Uniti. Un anno e mezzo dopo, in seguito alla tragedia della navicella spaziale Columbia, disintegratasi in volo, Timimi si dichiarò "felicissimo dell'avversità abbatutasi contro il nemico americano" e vide in quello schianto "il segnale che la supremazia americana e occidentale si sta avviando verso una rapida fine".

Questa condanna s'inserisce nel dibattito intorno al Patriot Act, fatto approvare in seguito all'11 settembre, ma oggi messo in discussione per i limiti che comporta nei confronti delle libertà civili individuali.

A dire il vero il caso di Timimi ha avuto un precedente che risale a prima dell'11 settembre. Per la precisione al 1995, quando ad essere condannato all'ergastolo fu Omar Abdel Rahman, il cosiddetto "sceicco cieco", riconosciuto colpevole dell'organizzazione di un attentato a New York (fallito) di due anni prima.

Le condanne massimali per Abdel Rahman e per Timimi sono il sintomo di come, negli Stati Uniti, il terrorismo islamico sia combattuto a partire dalle idee, dalle quali la violenza quotidiana trae origine e nutrimento. Sulla ragionevolezza o meno di condannare le idee (prima dei fatti) si può discutere. Senza dubbio si deve riflettere, e gli eventi di questi giorni ci dicono che la riflessione non è più soltanto un fatto americano, bensì riguarda anche le nazioni europee.

Sciacalli e smemorati

Di: Lexi
Ospite da ... casa Sua come sempre :)


Gli sciacalli del Manifesto possono vomitare tranquillamente il loro odio antiamericano. Lo possono fare. Ognuno ha facoltà di essere il piccolo bastardo che vuole in questi nostri poveri giorni confusi. Ma almeno lo facciano, giornalisticamente parlando, in maniera meno rozza e più "da furbi". Scrivere, come fa Ida Dominijanni, che i bambini di Baghdad uccisi dall'autobomba sono stati "usati dai marines come scudi", oltre ad essere ignobile, è anche controproducente nella sua totale mancanza di credibilità.

Persino per un quotidiano che fa della propaganda-spazzatura il suo credo l'articolo in questione è un clamoroso flop. Non ce ne sarebbe bisogno, ma mi piace segnalare il pezzo apparso sul Pakistan Tribune dove non mi pare di leggere descrizioni di bambini tenuti come scudi umani dai perfidi Americani per ripararsi dagli attacchi dei valorosi resistenti tagliagole bombaroli.

Oltre alla merda dei giornali traditori, dei venduti e delle quinte colonne, ci sono poi alcuni piccoli eventi di cui nessuno riferisce. Semplicemente perché non fa comodo farlo.
Lo scorso 5 luglio si è tenuta a Qayarrah (Iraq settentrionale) una manifestazione contro il terrorismo, March Against Terror, alla quale hanno partecipato oltre mille cittadini irakeni (su
Blackfive le fotografie). Di sicuro se ne sarebbe parlato, e molto, se si fosse trattato di una marcia di protesta contro gli Stati Uniti. E Il Manifesto ci avrebbe fatto una bella copertina.

giovedì, luglio 14, 2005

La vaselina nel sangue (di Filippo Facci)

Il supergiovane Pierluigi Diaco, diversi anni fa, scrisse un libro titolato «Nel 2006 vincerò io» (Mondadori) e io misi per iscritto che se avesse vinto lui l'avrei ucciso. Poi cambiai idea: qualsiasi cosa fosse o volesse diventare, Diaco, era riuscito inconfondibilmente a diventarla: ora è Diaco, punto, e lo rispetto come rispetto tutto ciò che non potrò mai, neppure con sforzi immani, affatto comprendere o diventare. Tocca però tornare sull'argomento dal momento che Diaco si è occupato di giornalismo: la settimana scorsa, su RaiNews24, ha intervistato Romano Prodi. Orbene, segue sbobinatura segnalata da Tocqueville.it: «Professor Prodi, ma lei qui ascolta più la gente che i politici, è una novità assoluta»; «Professore, lei qui sta cambiando i tempi della politica, si prende tutto il tempo necessario per ascoltare anziché andare di fretta come di solito fanno i politici»; «Volevo dire ai telespettatori, che tanto hanno sentito parlare del colore dei capelli di Prodi beh, posso assicurarvi, è proprio Prodi, al naturale»; «All'inizio credevo che mi sarei trovato di fronte una persona piuttosto distante, l'intervista ad esempio doveva durare otto minuti: alla fine è durata quaranta». Vedi titolo.

Filippo Facci

da Il Giornale del 14 luglio 2005